Facciamo un gioco: il valore del “essere-con” per crescere
Articolo di Carla Valeri, psicoterapeuta e mediatrice familiare
Facciamo un gioco: cerchiamo di ricordare un nostro gioco infantile, cerchiamo un ricordo bello, un’immagine che ci dà piacere. All’inizio forse non ci viene in mente nulla, o ricordiamo i giochi di società fatti a Natale, con tutti i cugini, o il gioco che facevamo in vacanza, nei giorni di pioggia.
Ma se siamo stati bambini fortunati, e se ci concediamo tempo e silenzio, se stiamo in contatto con quel nostro Io bambino di 6, 7 o 8 anni, ecco che piano piano verranno alla memoria altri giochi: giochi di ridere, di rotolarsi nell’erba, di nascondersi, giochi di immaginazione, fatti con gli altri, giochi di cortile, giochi sudati, giochi che si grida e si corre, e in cui batte il cuore.
Ecco, se torniamo in contatto con un gioco bello, di movimento che facevamo da piccoli, ritroviamo invenzioni, storie, l’esplorazione dello spazio il senso del rischio e il sollievo, quando il rischio è superato senza danni, il sentirsi liberi, autonomi, padroni del nostro corpo, e insieme sentirsi NOI, un gruppo, un corpo solo, la condivisione delle emozioni, il contatto, la rabbia e la gioia, l’allegria e la paura, la competizione e la solidarietà.
Qualcuno racconta: “eravamo Cowboy e CowBoesse. Le spalliere del letto erano i nostri cavalli, facevamo uno strano suono con la lingua e le labbra, claop cloap… e sentivamo il vento nei capelli, la terra sul viso, il sole, e il pericolo, e l’ansia dell’inseguimento, e cieli, cavalli, odori… eravamo in una stanza, ma i nostri corpi, i nostri occhi, erano sotto i cieli dell’ Arizona, e noi unite, solidali verso l’Avventura.…”
“noi giocavamo a sirene: eravamo bellissime, lunghi capelli che ondeggiavano nell’acqua, e le code flessuose… ci rotolavamo per terra, ci nascondevamo dietro i cespugli, sentendo le onde… a volte arrivava la notizia che un branco di pescecani stava arrivando… terrore !.. organizzavamo la difesa… lanciavamo palle di conchiglie e sabbia, i pescecani erano a un passo da noi… ma si rompevano i denti… gioia… e urla e risate…”
“eravamo esploratori nelle caverne… facevamo tutto buio… correvamo nelle stanze buie… urlando… avevamo paura ma ci facevamo coraggio insieme… le caverne crollavano… tutti gridavano… ci buttavamo sotto i letti… anche stavolta salvi… che sollievo e che risate a crepapelle“…
Giochi in cui il corpo e l’immaginazione danzano uniti, dove trova posto la fantasia, l’invenzione, emozioni e sensazioni dense, e lo stare insieme, che dà forza, e coraggio e senso di sostegno.
L’esperienza e la coscienza sono innanzitutto corporee: il corpo è l’organo di contatto che interagisce con l’ambiente. La somma delle esperienze di contatto che si realizzano via via costituisce il nucleo di quello che sarà il Senso del Sé. Dall’articolarsi dei sistemi sensoriali e dei sistemi motori prende vita la coscienza.
Le neuroscienze ci confermano che la vita mentale nasce dall’esperienza propriocettiva ed esterocettiva che avviene al confine del corpo. La pelle, gli organi di senso, il sistema dell’equilibrio, sono i veicoli del contatto tra corpo e ambiente, e sono la base dell’incontro tra Sé e l’Altro. Il Bambino esiste e si definisce attraverso il corpo che lo contiene, nella vita intrauterina prima, poi nelle braccia di chi lo cura, lo solleva, lo accudisce, lo consola, lo orienta e lo sostiene. Attraverso il movimento ogni individuo apprende a differenziare Me e Non me, o ad unire Me con Non me: contrazione muscolare rilascio-distensione è lo schema motorio base. Su questa base si evolve e si fa sempre più articolata la capacità di muoversi. Avvicinarsi/allontanarsi è lo schema base per dare espressione all’intenzione di andare verso ciò che è buono per noi e allontanarci da ciò che non è (più) buono per noi: il lattante avvicina la bocca e la testa al capezzolo, poi la gira e la allontana quando è sazio. Avvicinarsi e allontanarsi sono gli schemi di base per imparare sicurezza e autonomia.
Ogni bambina e ogni bambino apprende a sostenersi, a muoversi, a lasciarsi andare, ad esplorare il mondo, a rimettersi in piedi se cade, attraverso il corpo di chi lo cura: il bambino impara che ha un peso, una forza, che può sollevarsi, e abbandonarsi, attraverso il contatto con la pelle e i muscoli dell’adulto che lo abbraccia, lo solleva, lo contiene, si adatta al suo corpo. Attraverso lo sguardo della madre, il bambino scopre se può avventurarsi alla scoperta dello spazio, o se è meglio restarle vicino. Ogni bambino guarda la mamma, quando nella stanza entra un estraneo: osserva la sua tranquillità, o la sua ansia, la sua fiducia o il suo timore, e a questo reagisce.
Basandosi su questo dialogo muto fatto di contatto, calore, sguardo, emozione, ogni bambino costruisce a sua volta il suo repertorio di emozioni, movimenti, atteggiamenti verso il mondo. Ogni bambino che può appoggiarsi e lasciarsi andare all’abbraccio saprà sostenersi e allontanarsi, esplorare e soddisfare la sua curiosità, la sua voglia di vita, per poi tornare, fiducioso di ritrovare il sostegno di cui ha bisogno.
Il corpo dell’adulto, o per meglio dire i corpi degli adulti che accudiscono il bambino rappresentano il campo nel quale cresce e si sviluppa il figlio. È lo sfondo su cui si muove la nuova creatura. Se lo sfondo è sufficientemente caldo, accogliente, stabile, equilibrato, il bambino si muoverà e si svilupperà nella fiducia: andrà con fiducia verso l’ambiente. Se lo sfondo sarà invece freddo, distante, distratto, inaffidabile, o ansioso, il bambino perderà l’equilibrio, e la fiducia, rimarrà solo con la sua eccitazione, la sua voglia di esplorare e la paura di non riuscire a farcela. Potrà riuscire, o potrà rinunciare, e potrebbe sentirsi inadeguato, o provare ansia per la mancanza di un sostegno efficace.
È all’interno dello scambio con l’adulto che bambino costruisce i suoi schemi di movimento, dal succhiare al camminare, e sviluppa sicurezza, stabilità, intraprendenza. In questo processo lo scambio tra chi accudisce e chi è accudito è continuo, il corpo del bambino parla al corpo dell’adulto che parla a quello del bambino, in un dialogo basato sui sensi. I genitori sono quindi il campo dove si sviluppa questo scambio. È in grado la genitorialità oggi di sostenere questo compito? Il compito di curare e accudire, ma anche di contenere, orientare, dare struttura, offrire lo sguardo che fa da specchio all’altro.
“A partire dagli anni ’90, la società è caratterizzata da un vissuto di instabilità e inconsistenza, in cui le relazioni vengono via via sostituite dalla realtà virtuale dei social network. Si assiste spesso… ad un cambiamento antropologico delle comunicazioni umane: ciascuno è in contatto con un “altrove” attraverso i devices tecnologici, l’essere-con chi ci sta accanto è una capacità che va scomparendo…. Il vissuto sociale che attraversa la genitorialità oggi è “liquido”: incapace di contenere l’eccitazione dell’incontro con i figli ed estremamente aperto verso le possibilità di scambio offerte dalla globalizzazione dei flussi comunicativi… la liquidità non fornisce né contenimento né struttura, per cui mancano a volte rispecchiamento e contenimento relazionale, il senso della presenza dell’altro, il “muro” che consente di sentire se stessi attraverso l’altro.(…) Sostenere la genitorialità oggi implica offrire un sostegno all’essere-con, attraverso la risensibilizzazione corporea e l’acquisizione di strumenti volti al raggiungimento di un vissuto relazionale pieno; la possibilità di essere riconosciuti dallo sguardo dell’altro e di riconoscersi in esso” (da M. Spagnolo Lobb, Lasciarsi trasformare dai figli, 2016 )
Guardando un gruppo di bambini che giocano in una scuola dell’infanzia, ne vediamo alcuni che si mostrano timorosi, non corrono, non esplorano l’ambiente; aspettano indicazioni dall’adulto, sembrano molto dipendenti dalla maestra. Altri sono molto eccitati, non riescono a regolare la loro eccitazione in funzione del contesto: i loro corpi “esagerano”, si muovono disordinatamente, non sanno fermarsi. Sono bambini piccoli, eppure il loro gioco è esplosivo come quello di adolescenti, o dimesso, come quello di persone oppresse e tristi. I loro corpi cercano ancora la giusta misura, l’integrazione dell’eccitazione vitale in una regola, in un senso. Ci domandiamo se hanno avuto i sostegni, che servivano, se i corpi dei loro genitori siano stati caldi e presenti, ma anche flessibili e sicuri, o non piuttosto troppo ansiosi, o distratti, troppo impegnati in altri dialoghi, poco capaci di stare nel contatto, di respirare insieme, di trovare un ritmo insieme. Per i giovani genitori può essere utile fare esperienza della propria corporeità, del valore del contatto, della forza e della gioia di contenere, orientare, sostenere, dello stare quietamente insieme
Facciamo un gioco: ora ci ascoltiamo, ci guardiamo, ci tocchiamo, inventiamo una storia insieme, ci spaventiamo e ci facciamo coraggio insieme, senza paura, senza fretta, senza altri rumori se non quelli dei nostri corpi e del nostro respiro.
Bibliografia
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Bortolotti A. Poi la mamma torna, Mondadori ed., 2017
Damasio, A. Emozioni e coscienza, Adelphi ed., 1999
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Goleman, D. Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, BUR ed., 2011
Goleman, D. & Senge P., A scuola di futuro: per un’educazione realmente moderna, Rizzoli ed., 2017
Gonzalez C. Genitori e figli insieme. Dall’infanzia all’adolescenza con amore e rispetto, Il Leone Verde ed., 2014
Iafrate R., Rosnati R. Riconoscersi genitori, percorsi di promozione e arricchimento del legame genitoriale, Erikson ed., 2007
Siegel, D. La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza inter-personale, Cortina ed., 2001
Spagnolo Lobb M., Lasciarsi trasformare dai figli. Proposta di un modello estetico di genitorialità, Quaderni di Gestalt XXIX, n.1/2016, Angeli F. ed., 2016
Spagnolo Lobb M. Il now for next in psicoterapia, Angeli F. ed., 2011
Stern, D. Il mondo interpersonale del bambino., Bollati Boringhieri ed., 1987
Stern D. Le forme vitali, Cortina ed., 2011
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