L’istinto di guarire in Somatic Experiencing®
ARTICOLO di ELISABETTA UGOLOTTI, SEP Somatic Experiencing Pratictioner senior® e Operatrice Prenatale e della Nascita.
Peter Levine, in oltre quaranta anni di ricerca, ha aperto, nel mondo scientifico, una via di riconnessione tra l’uomo e la natura che altri ricercatori stanno ora esplorando ed ampliando, nel lavoro sul trauma. Il soggetto primario in questo processo è il corpo con le sue sensazioni e lo strumento è il dialogo terapeutico focalizzato al Sistema Nervoso Autonomo.
Prima di queste scoperte, la maggior parte delle terapie sul trauma erano gestite verbalmente o si orientavano ai processi mentali con l’uso di farmaci. Ma il trauma non è, e non potrà mai essere completamente curato fino a quando non capiamo quale sia il ruolo essenziale giocato dal corpo.
Per migliaia di anni, i guaritori orientali e sciamanici, oggi gli approcci psicosomatici, hanno riconosciuto non solo che la mente influenza il corpo, ma anche come ogni sistema organico del corpo abbia una sua rappresentazione nel tessuto mentale.
Recenti sviluppi nelle neuroscienze e nella psiconeuroimmunologia hanno dimostrato l’evidenza della complessa comunicazione bidirezionale fra corpo e mente. Identificando “messaggeri neuropeptidi”, ricercatori come Candice Pert, hanno scoperto molte vie nervose attraverso cui corpo e mente comunicano a vicenda. Queste ricerche rimandano a ciò che l’antica saggezza ha sempre saputo: che ogni organo del corpo, compreso il cervello, esprime i propri “pensieri”, “sentimenti” e “suggerimenti” e ascolta quelli di tutti gli altri.
Le persone che hanno subito uno shock o un trauma, di solito, hanno difficoltà a sentire il proprio corpo, o lo sentono a pezzi. La dissociazione è una conseguenza di qualcosa che non può essere digerito dal Sistema Nervoso e perciò non viene integrato nell’organismo, bensì allontanato. Ogni qualvolta non siamo in contatto con la nostra esperienza nel momento presente siamo dissociati. Più il trauma vissuto dal nostro Sistema Nervoso è stato precoce, prima abbiamo incominciato a vivere lontano dal corpo fisico, e probabilmente senza mai accorgercene. Forse alcuni segnali di inadeguatezza o vergogna del corpo, alcuni atteggiamenti di solitudine o chiusura, si sono fatti ogni tanto sentire, ma facilmente li abbiamo interpretati come «normali».
CHI E’ PETER LEVINE?
Peter A. Levine, Ph.D. è un importante membro dell’Università di Santa Barbara. È laureato in medicina biofisica e psicologia. È stato consulente alla NASA per la gestione dello stress durante la fase di sviluppo dello Space Shuttle, ha insegnato in ospedali e cliniche del dolore in tutto il mondo, ha studiato gli effetti del trauma sulle popolazioni indigene.
Quarant’anni fa, Peter Levine iniziò a mettere in pratica le sue intuizioni con la sua profonda conoscenza del cervello e la funzione del SNA (Sistema Nervoso Autonomo) ai fini del trattamento del Disordine da Stress Post-Traumatico.
Ha ideato e sviluppato Somatic Experiencing®, un approccio nato da un suo studio sullo stress negli animali selvatici. Ha osservato che gli animali escono velocemente dallo stress traumatico e ha pensato per gli esseri umani un metodo in cui possono adottare lo stesso comportamento degli animali, guidandoli a rilasciare l’eccesso di energia trattenuto nel corpo durante l’evento traumatico.
Il SNA è responsabile della regolazione di funzioni corporee automatiche come la frequenza cardiaca, la digestione e la respirazione, le emissioni ormonali e l’omeostasi. Levine sostiene che i sintomi comunemente associati al trauma, come paura, flashback, trasalimenti, manie, attacchi di panico, tensione e dolori cronici, sono provocati da alcune interruzioni nel SNA. L’obiettivo del trattamento è consentire allo stesso di regolarsi nuovamente.
L’APPROCCIO DI LEVINE NEL NOSTRO LAVORO
Questo metodo ci consente di aver accesso alle radici fisiologiche del problema mediante l’ascolto e l’interazione con le sensazioni del corpo (felt sense). Questa saggezza corporea mette a disposizione immediatamente l’istinto dell’animale come intelligenza innata dell’essere umano.
L’approccio ha le sue radici nella comprensione della comunicazione bidirezionale fra i nostri pensieri e la nostra fisiologia. Levine sostiene che il corpo è guaritore e che le cicatrici psicologiche lasciate dai traumi sono reversibili, ma solo se riusciamo ad ascoltare le voci del nostro corpo.
FUGA-LOTTA-CONGELAMENTO
Quando un animale percepisce una situazione di reale minaccia, in lui si crea un incremento energetico circa un centinaio di volte superiore al normale, da cui parte un riflesso di orientamento difensivo: il cuore batte più forte, la tensione muscolare aumenta, il Sistema cerca una risposta alla minaccia. Le più probabili risposte istintive per sopravvivere sono due: scappare o lottare. Se non sono possibili, subentra una terza risposta: immobilizzarsi, congelarsi. A volte in natura la risposta di immobilità ha anche funzione difensiva: l’istinto dell’animale predatore viene disorientato e può percepire la preda come morta, quindi non degna d’interesse. Passato il pericolo, all’immobilità seguono disorientamento e tremito per scaricare l’accumulo di energia, poi tutto torna a fluire.
Così, quando il SNA di una persona percepisce una minaccia è sovraccaricato e, se non può orientarsi per difendersi, lottando o fuggendo, si immobilizza.
Occorre dunque accedere di nuovo alla parte istintiva animale tenuta dal corpo, che ci parla attraverso le sensazioni. Dove la sequenza di allerta è bloccata? Quale gesto il suo corpo non è stato in grado di compiere?
COME QUESTO METODO E’ ENTRATO NEL MIO LAVORO
Con la pratica dell’osservazione del corpo e del suo movimento, della modalità di parlare e di guardare, posso capire dove una persona è rimasta bloccata.
Il lavoro, all’inizio, si concentra sul ristabilire un confine sicuro, dare spazio, tempo, fiducia, accedere alle risorse, rispettare e sviluppare sempre più l’abilità nel seguire le tracce del trauma. Queste sono le sfide quotidiane in questo lavoro, oltre a aiutare a ri-tracciare un percorso di accesso alle risorse e di sano orientamento difensivo. Occorre anche capacità di porre domande semplici mantenendo il focus sulle sensazioni.
Citando lo stesso Levine: “[…] (le) risorse sono percezioni, immagini, sentimenti che ci rafforzano, sostengono, orientano, portano il nostro sistema nervoso di nuovo in equilibrio. Esse ci consentono di restare nel presente e di percepire il nostro processo”. Le risorse rendono possibile il nostro essere in silenziosa presenza con noi stessi. L’accesso alle risorse è ciò che viene perso non appena siamo attivati.
Somatic Experiencing® sostiene che il trauma provoca tensione cronica, ipervigilanza, perché la lotta o la fuga non hanno potuto essere completate.
L’ipervigilanza è uno stato determinato direttamente dalla prima fase di esposizione al trauma, la prima reazione alla minaccia, paura e attivazione. Si verifica quando il bisogno di orientarsi (da dove viene il pericolo?) è essenziale alla vita e questa pressione ne attiva una ricerca compulsiva e amplificata. Non riuscire a identificare la minaccia è particolarmente debilitante, dato che prepara la persona ad una crescente esperienza di paura, paralisi e impotenza.
Quando l’attivazione continua, ci troviamo in una situazione senza via di uscita, e anche se si identifica una fonte esterna di minaccia, l’atteggiamento compulsivo e ipervigilante continuerà perché l’attivazione interna è mantenuta, il pericolo è diventato interno.
Continuiamo a cercare di trovare la fonte della minaccia (dov’è?) e di identificarla (che cos’è?), perché è questo che ha sentito il SNA quando si è attivato e non lo ha potuto gestire. L’inganno è che spesso non c’è nessuna minaccia da trovare.
L’ipervigilanza diventa così il modo con cui gestire l’energia in eccesso derivata dall’orientamento difensivo fallito. Manteniamo quell’energia nei muscoli della testa, del collo e degli occhi nella ricerca ossessiva del pericolo. Insieme all’attivazione interna ancora presente, il nostro cervello diventa irrazionale. Continua a cercare di identificare fonti esterne di pericolo. Questa pratica convoglierà gran parte dell’energia in un’attività specifica che diventerà sempre più ripetitiva e compulsiva.
Nello stato ipervigilante ogni cambiamento – compresi i cambiamenti interiori – è percepito come minaccia. Aumenta la tendenza a vedere il pericolo ovunque e diminuisce la capacità a provare gioia e piacere. Questo accade per la mancanza intima di sicurezza.
foto di ElGassier
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