Una storia da narrare diventa mille storie

Ogni giorno incontro sguardi capaci di arrivare al cuore della quotidianità e dei suoi fatti. Ascolto voci di storie, dolci o amare, poetiche e drammatiche, piene di Umanità.
Ciascuno di noi è il narratore della propria vicenda umana, via via che la crea nella vita, che la ricorda o la immagina.
E in ognuno di noi c’è un testimone che guarda verso l’altro e verso il mondo, che ha capacità di coniugare percorsi umani e avvenimenti sociali, di legarsi alla vita che pulsa ovunque.

Quel narratore interiormente indaga la realtà con le sue domande e si anima dei sentimenti che la vivificano. Così può nutrire la propria coscienza e accrescere quella sensibilità che ingentilisce il cammino che percorre.

Ciascun nuovo momento, ciascun pensiero o moto dell’anima ci rinnova continuamente e non siamo più la stessa persona che si era già soffermata altre volte su quelle stesse note. Ci serve solo comprenderlo, porre attenzione. I fatti sono plasmabili dai nostri vissuti interni e noi agiamo, attraverso il ricordo o l’abitudine, nel loro “avvenire”.

Ogni  storia siamo noi. Abbiamo tanti modi sfaccettati di ricostruire le tracce del nostro passato, tanti quanti sono le possibili narrazioni nel momento in cui le riportiamo alla memoria, depositandole su un foglio o porgendole a qualcuno. Ogni volta possiamo riscrivere e raccontare episodi e periodi già vissuti, intrecciati a emozioni di allora, stati d’animo e della mente, bisogni e piaceri dell’oggi.

I fatti della vita diventano una storia o mille storie nel momento in cui usciamo dal vortice caotico di pensieri e emozioni di cui i nostri sensi sono ebbri mentre ci stiamo dentro, e andiamo a raccontarli, li porgiamo fuori dalla nostra testa.
Così ci ritroviamo, condividiamo, ci prendiamo cura di parti di noi stessi, di vecchie ferite o di importanti conferme.
Ridiamo ordine a quei fili esili e ingarbugliati, a volte confusi dal bisogno o dall’abitudine di vederli solo da un punto di vista. Diamo loro un posto nella relazione fra i movimenti della nostra anima, le scelte fatte, i contesti di realtà.

Sono azioni in grado di dare nuovo respiro a quella narrazione e possibilità di significati diversi, più ampi.
La memoria combacia con la nostra stessa identità, senza necessità di attaccamento a immagini statiche e congelate di noi stessi.
Travalicare tragitti e segmenti di ricordi sparsi per trovare una connessione armoniosa fra di essi può condurci a riscoprire un senso più esteso della nostra esistenza come parte della memoria del tutto.

Da una goccia d’acqua, che sia di brina o d’oceano, o lacrime di un bambino, in un qualsiasi angolo del mondo, tutto e tutti conteniamo e ricordiamo un’unica appartenenza alla vita.
Ritrovare queste risonanze, grazie al corpo che non dimentica, allo spirito che urla dal cuore, ai sensi che amplificano la nostra materia, ci aiuta a stare in salute.

Il ricordo è un modo di incontrarsi” ha scritto Gibran. Incontrarci nel nostro dialogo interiore, nella condivisione del raccontarsi.

L’oblio è una forma di libertà”, è sempre Gibran a dirlo. Perché dopo aver riconosciuto la nostra identità di individui, l’oblio può farci incontrare, anche immemori di dettagli “finiti” e di ciò che ormai abbiamo fatto nostro nell’essenza, in quell’unica libertà che è perdersi dentro la Vita.

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