Brano tratto dal libro di Ugo Morelli, Mente e paesaggio. Una teoria della vivibilità, Bollati Boringhieri ed. 2011
“Abbiamo bisogno di inventare un inedito senso della vivibilità. Solo nelle relazioni con l’altro da noi e con un altrove da inventare possiamo concepire il nuovo paesaggio della vivibilità. L’altro è il “luogo”, la condizione, dove la mente diviene possibile, l’altrove è il “luogo” dove la mente trascende e può cambiare se stessa. Esistiamo in quanto non coincidiamo con noi stessi. Ogni condizione ci vede protesi verso l’immaginazione di altre possibilità che in quella condizione non sono presenti. Quel protendere è la vita che si auto eleva a esistenza per quegli esseri che si definiscono per la mancanza e per il non-ancora. […]
Ci riconosciamo in quanto non abitiamo universi. Appena concepito, un universo assume molteplici significati ed è quindi pluriverso. Anzi è possibile sostenere che sia proprio lì l’irriducibilità della nostra esperienza a un universo, all’origine della nostra propensione a crearne continuamente. […]
L’l’idea di concepire il confine come un inizio e non come una fine rappresenta in sintesi la sfida epocale che abbiamo di fronte. Il confine è dove ognuno di noi comincia. Il margine è dove comincia la mia possibilità, non dove qualcosa finisce. E dove comincia la mia possibilità, è dove riconosco “ciò che mi manca” e “ciò che mi manca” e “ciò che io non sono”, se ci pensiamo bene, è “ciò che io posso diventare”: il mio paesaggio pensabile e possibile.”
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