La nascita è la festa della vita

di Elisabetta Ugolotti, esperta facilitatrice Prenatale Perinatale e Nascita, NARM, ISP e SEP, è Senior nei training di Somatic Experiencing® e PPN, e operatrice Craniosacrale

Tra tutti i lavori terapeutici sviluppati negli ultimi decenni, “Prenatale & Nascita” è, a mio avviso, quello che maggiormente sviluppa un’autentica possibilità di cambiamento.
Il percorso nel campo di relazione di gruppo rende possibile l’accesso alle prime impronte delle nostre vite e rende possibile tracciarne nuove. Non è facile scriverne poiché si tratta di farne un’esperienza prevalentemente corporea e a diversi livelli nei campi di relazione, con lo spirito, con la mamma, con la famiglia, con le relazioni adulte e con le nostre storie traumatiche.
La visione si riferisce al fatto che qualunque imprinting, attivazione dolorosa o deludente presente nel nostro sistema oggi, ha una radice antica, un circuito che si è creato nello sviluppo, che a volte rende la nostra risposta alla vita priva di altre possibilità e di creatività.
Il lavoro di terapia prenatale e di nascita è orientato in senso processuale, si tratta cioè di una crescita. La chiave per questo lavoro è il “campo”. Il gruppo costituisce tale campo, un “utero spirituale”, come lo ha definito Frank Lake, in cui la crescita può accadere.

 “Il principe e la tigre” di Chen Jianghong

Si potrebbe credere che i piccoli figli dei re crescano ben protetti in un palazzo e non con una tigre selvaggia nella giungla profonda.

Ma proprio questo accadde, secondo un’antica leggenda dei tempi della dinastia Shang, nella Cina medioevale.
C’era una volta una tigre che abitava in un bosco selvaggio, dove viveva la sua vita da tigre in uno spazio tutto per sé. Avendo messo al mondo due piccoli, come fanno tutte le mamme tigri, un giorno prese i suoi cuccioli in bocca e iniziò a girare nella foresta per mostrare a loro il mondo.
Sfortunatamente, quel giorno degli esseri umani avevano voglia di andare a caccia; e per loro ammazzare una tigre era come essere padroni del mondo. Vista la tigre si misero a cacciarla, riuscendo però solo ad ammazzare i due cuccioli. La mamma tigre fu presa allo stesso tempo da un incommensurabile dolore e da una terribile rabbia.
Lei è forte, conosce le regole del bosco ed è piena di rabbia e di dolore. Questa rabbia la porta a vendicarsi degli uomini: devasta il loro villaggio, uccidendo tutti quelli che incontra.
Ma rabbia e dolore creano in lei solo altra rabbia e dolore.
La notizia della tigre divoratrice di uomini giunge anche a palazzo reale,  il re stesso non sa cosa fare e, come ogni volta in cui non sa cosa fare, si rivolge per consigli al saggio.
“Cosa dobbiamo fare per calmare la tigre?” E il saggio risponde: “tu l’hai privata dei suoi piccoli, soltanto dandogli ora il tuo bambino si può placare la sua furia”.
Il re, addolorato, comprende che non può fare nient’altro, perché i suoi uomini con il loro comportamento hanno infranto la legge della natura, e che quella suggerita dal saggio è l’unica cosa che può essere fatta per calmarla. Ne parla con il figlio che è d’accordo a sacrificarsi per la comunità.
Il bambino viene quindi purificato, poi saluta sua madre e parte con il padre, che lo lascia solo nella foresta selvaggia.
La mamma tigre, che non è mai riuscita a superare l’ingiustizia di aver perso i suoi cuccioli, trovando il figlio del re, solo e inerme, sente finalmente vicina la sua vendetta. Apre le sue fauci e portatolo alla bocca si prepara a divorarlo. Ma con quel gesto di portare un cucciolo nella sua bocca le tornano in mente le immagini di quando aveva i suoi cuccioli in bocca; le sue fauci non si chiudono in una morsa di morte, ma in una presa di tenerezza. La sua anima di mamma riprende a vivere e comincia a prendersi cura del bimbo e a proteggerlo; e il bimbo protetto inizia ad entrare in relazione con questa tigre e ad attaccarsi a lei. La tigre mostra al bimbo mondi selvaggi a cui nessun essere umano aveva mai avuto accesso.
Inoltre, abbandona la sua ferocia rispetto agli umani e la vita nel reame torna calma.
Un giorno però il piccolo, accarezzando il pelo della tigre, vi trova una grossa spina e la toglie provocando un dolore che risuona nella tigre con quello provato quando era arrabbiata con gli esseri umani. Questo dolore riaccende nuovamente il desiderio di vendetta, il riflesso di uccidere il piccolo degli umani. Il bimbo invece, dopo un attimo di paura, la prende per i denti e la guarda negli occhi; e guardandolo a sua volta negli occhi, la tigre ritrova l’istinto di madre e la collera sparisce. Lo prende in bocca con dolcezza e lì il bambino, proprio al centro della bocca della tigre, può riposarsi da tutte le sue paure, libero di entrare in contatto con i suoi sentimenti e le sue sensazioni.
Continua così la loro vita nella foresta: lui cresce selvaggio, agile come una tigre, rapido come una tigre, malizioso come una tigre.
Intanto nel reame, la vera madre piange tutti i giorni e non sorride più per il dolore del figlio perso. Il re decise allora di andare con lei e con degli uomini armati per cercare la tigre ed ucciderla. Incendiano la foresta e dopo un po’ la trovano con il suo bimbo proprio lì, davanti alla tigre.
Il re non lo riconosce ed è pronto a lottare per ucciderla. Ma la madre riconosce il suo piccolo e il piccolo riconosce la madre. Sente nel cuore il suo amore e comprende che deve lasciare la tigre per andare a vivere la sua vita da uomo con i suoi genitori. Anche la tigre sente di dover lasciar andare il piccolo e ripartire da sola nel suo bosco selvaggio.
Così tigre e bimbo si abbracciano e si lasciano, ma prima di farlo il piccolo sussurra nell’orecchio della tigre: “tornerò ogni anno a incontrarti, tutti gli anni, al nostro posto segreto”.
E così accade: ogni anno torna, e intanto, di volta in volta, si va facendo adulto.
Finché un giorno, al loro appuntamento annuale, l’uomo porta alla tigre il suo bambino e le dice: “è mio figlio, te lo affido, insegnagli la vita della tigre e la saggezza della tigre così come tu l’hai insegnata a me e io tornerò a cercarlo di nuovo”.

Il processo interiore

Noi esseri umani abbiamo voluto controllare il pericolo e per proteggerci abbiamo cominciato ad uccidere gli animali feroci e a devastare. Lo stesso succede metaforicamente all’interno di noi. È stata una grande illusione: siamo arrivati al punto di doverci proteggere dai nostri simili… È importante ricreare la fiducia nell’essere umano, cercare un altro modo di essere, poter entrare in relazione con anche amore, piacere, sostegno. E poterci “attaccare” liberamente.

Ma cosa vuol dire “attaccarsi liberamente”? Sono parole che sembrano in contraddizione. Proteggersi e isolarsi non è libertà, è il contrario. Si usa molta energia per controllare.
Se invece possiamo sciogliere, aprirci e avere fiducia, le cose giuste possono arrivare, senza sforzo: abbiamo molta più energia per vivere, liberiamo le nostre potenzialità creative.
Nessuno sceglie la propria famiglia e la famiglia non sceglie il proprio bambino. La verità può essere dura da accettare: non abbiamo il controllo della nostra vita. È un’illusione, e se vogliamo averlo ci limiterà e ci darà molti problemi, vivremo una vita diretta dalle nostre paure, dalle nostre storie e dal nostro carattere.
Nasciamo in questo mondo aperto, tutto l’universo è aperto.

La nascita è la festa della vita, anche se abbiamo vissuto una grande sofferenza: la vita ci dà tutto.

Ecco lo scopo di questo lavoro: aprirsi di nuovo con un sì incondizionato all’esistenza. La vita con noi non ha cambiato il contratto, tutto è ancora possibile, senza condizioni.
Quando ci liberiamo dagli imprinting (impronte), recuperiamo tutto il nostro potenziale, che è illimitato, in questa nostra forma, che è limitata. Non saremo più noi a fare qualcosa, ma la vita farà per noi.

I nostri imprinting sono forti: ci identifichiamo con il vissuto dell’esperienza, questa è l’illusione. La vita comincia sempre in questo momento ed è meno definita di quanto si pensi.
Come dice il Buddha “tutto cambia, nulla resta uguale”. La chiave è il presente. Abbiamo solo questo momento, ora.

Gli Imprinting e “l’Essere

Tutti veniamo dalla stessa fonte. La fonte è il luogo dove nulla si è ancora manifestato, dove non c’è ancora alcuna individualità. La fonte era presente, prima che la creazione fosse ed esisterà quando questa non sarà più.
Dalla fonte ha origine qualcosa che procede in una determinata direzione e, allo stesso tempo, riposa nella fonte. È ancora perfetto, indiviso, non ha polarità, è un’unità. È la prima forma di apparizione. L’Essere procede in direzione della creazione. Possiamo già in qualche modo sperimentare l’Essere, sebbene si tratti di uno stato paradossale: è qualcosa di manifesto e tuttavia di non manifesto, è aperto, vuoto e tuttavia presente. È uno stato che non ha ancora alcuna qualità soggettiva, e tuttavia lo sperimentiamo qui come uno stato particolare che è diverso dalla fonte.
Ciò significa che ogni uomo ha una forma di essere individuale.
Non ha nulla di spettacolare, è semplice. Non ha forma, non lo si può afferrare ma lo si sente nel suo esprimersi attraverso la nostra autenticità.

Il seme dell’Io risiede nell’Essere. L’Essere è la nostra vera natura non manifesta, ed è orientata alla fonte.
L’Io è manifesto e condizionato, è sottoposto alla forza di gravità e al tempo. Ha una storia e presenta delle impronte. Il Sé dice: io sono io!
Nel caso ideale l’Io esprime il suo pieno potenziale, vive il suo vero Sé. L’illuminazione indica il risveglio, in vita, alla propria vera natura, il risveglio nell’Essere. Le impronte nascondono l’Essere come le nuvole il sole; può qui accadere che il Sé si separi completamente. Frank Lake dice: “La più grande ferita che ci accade è l’oscuramento della nostra vera natura”. Buddha dice: “Il problema non è che abbiamo un io, ma che ne rimaniamo attaccati”.

All’inizio della vita, è essenziale l’accoglienza che ci viene data. Per questo nuovo Io in divenire è fondamentale essere visto, percepito, contattato.
Le influenze e le impronte che riceviamo dall’inizio sono quelle che ci influenzeranno di più, per tutta la vita. Un’accoglienza fredda, distaccata, crea il rischio di allontanare l’individuo da ciò che è: non sa chi è e si identifica con quello che “non è”.
I neonati ci possono insegnare molte cose: sono semplici, veri. Non hanno ancora identificazione, nessuna richiesta del “voglio essere amato”. Il loro solo messaggio è: “amo”.

Portano con sé la natura dell’Essere, che è come il sole. Quando li guardiamo, tutto si ferma, si crea un contatto dall’Essere all’Essere. Infatti, l’Essere resta nello sfondo, sempre presente, è un impulso originario fondamentale. Occorre rapportarsi, entrare in contatto con questo impulso fondamentale della nostra vera natura, per collegarci con tutto il mondo e tutti gli altri, uomini, animali, piante, cose. Mediante il contatto con l’Essere l’Io può venire modificato, ci aiuta a disperdere le nuvole dell’oscuramento. La guarigione inizia con questo contatto, risuonare con l’essere in noi ricrea equilibrio, porta felicità nella vita. Si tratta infatti di ristabilire il qui e ora, nell’esistenza.
La nostra vita accade ora, ogni momento è una nuova nascita.

Nascere in un “campo”. L’incarnazione

I neonati reagiscono a ciò che trovano. Non sono importanti solo i genitori, ma tutto il campo in cui giungono, che ha già un determinato colore con cui loro vanno a identificarsi: storie di famiglia, società, cultura, credenze… Sarebbe ottimale nascere in un campo in cui l’Essere pulsi insieme.

Se entriamo in un campo denso, più scuro, nuvoloso, l’Essere viene coperto, la vitalità si riduce un po’. Cominciamo il processo di identificazione col piccolo io. Quando il Sé si scollega dall’essere la vita, identificata con il mondo attorno, diventa confusione, dolore. Ma noi non siamo certo questo, abbiamo la possibilità di attaccarci, oppure di separarcene. Possiamo ritrovare nel Sé condizionato, l’ ”Essere incondizionato”; sotto le nubi ritrovare il sole, fondamentale per mantenere o ritrovare questo contatto.

Secondo Frank Lake, i primi tre mesi di gravidanza sono fondamentali: “sono le impronte dell’inizio che influenzeranno maggiormente la nostra vita”. Lake pone l’accento sui bisogni essenziali del bambino, che se non visti, non riconosciuti, possono portare conseguenze nel carattere della persona. Il compito terapeutico, o della vita, è quello di portarli a compimento; afferma ancora Lake: “La cosa più tremenda nella vita è l’oscuramento dell’essere.

La dinamica del preconcepimento

Se immaginiamo l’incarnazione come una danza fra le forze del cielo e quelle della terra, incontreremo una quantità di forme e manifestazioni, ma si possono distinguere tre modalità archetipiche:
LA PRIMA, VICINA ALLA SORGENTE: l’individualità sparisce. È come se la coscienza si incarnasse. Non ci sono impulsi, desideri, semplicemente un’idea di esserci senza movimento. In contatto con il silenzio in noi, alcuna idea del tempo, c’è solo “Io sono”. Non ci si sente soli, non ci sono temi di separazione. C’è una qualità di Essere, una presenza che non ha bisogno di nulla.
LA SECONDA, INTERMEDIA, È PIU’ CORPOREA: la forma si fa più concreta. Appare il precursore del Sé: nubi in arrivo. Si manifesta la sensazione di appartenere a una comunità, è maggiore la separazione dalla sorgente e così il desiderio di ritornare alla sorgente. La sensazione è di non essere soli, di avere qualcuno accanto con il quale ci si sente interi; il separarsi è come perdere la propria sensazione d’interezza.
LA TERZA, VICINA AL CONCEPIMENTO: come se si fosse su un trampolino e si vedesse sotto: “se salto non posso più tornare indietro”. Si fa sentire l’Energia corporea, come una forza a spirale, un vuoto nel quale saltare. Possono esserci resistenze o paure. Stiamo prendendo questa forma: può essere l’inizio della nostra prima cellula. Spesso si ripete nel processo di nascita.

Le impronte originarie influenzano il modo di essere qui, l’esperienza delle tre fasi/dinamiche si manifesta con certe sensazioni:
Mi sento in esilio dal divino: dove sono/non sono a casa mia. Sono a casa lassù, ma non qui.
– Mi rallegro solo quando raggiungo il cielo perché là posso tornare ad essere me stesso.
– Non mi trovo mai bene con un partner, in una casa, in un paese….

La dinamica di concepimento

L’archetipo della mamma è accettazione incondizionata, ha il cuore aperto per il suo piccolo. L’accettazione incondizionata è l’Essere.

Per arrivare, abbiamo bisogno di questo spazio; abbiamo bisogno di essere ricevuti dall’utero. Ciò di cui ha bisogno un bambino è di essere riconosciuto nella sua vera natura e nella sua possibilità di amare, che è dell’Essere, e questo inizia nella carne dal concepimento.
Occorre ricreare questo campo, questo utero di sostegno, che è amore incondizionato ed empatia.

Non si tratta di essere e non essere, ma di Essere e Essere qui. L’ovulo si prepara e attende il suo spermatozoo. È una festa d’amore che si ripete quando ci si ama fra un uomo e una donna.
Nella natura stessa c’è passione durante il concepimento.
L’Essere è appassionato nell’incontro.
Se non c’è passione fra uomo e donna, qualcosa è già separato, la natura comincia ad avere delle impronte che porterà con sé. Questa casa avrà delle impronte. È già una storia avere una passione e avere paura di questa.

L’impianto

Il tema dell’impianto è quello dell’attaccamento e delle relazioni.
L’importante per noi è iniziare un attaccamento pieno di risorse, un attaccamento con passione, cuore e libertà.

L’utero, questo grande cuore, si apre con tutta la sua dolcezza e accoglie l’uovo e l’Essere che ci sta dentro. Inizia l’avventura: Essere e diventare umani.
Per tutta la vita ricerchiamo questo spazio, nelle nostre relazioni. Le sfideremo nel trasformarle.
Il corpo è il più grande dono che abbiamo ricevuto, ed è anche il più difficile. Come Buddha ci insegna: “Se hai un corpo puoi arrivare all’illuminazione”. Attraverso il corpo siamo più vicini all’illuminazione di prima, e questo significa che occorre vivere consapevolmente.
Se restiamo troppo condizionati dalle impronte, siamo portati a sentire: sono qui perché devo, ma la mia anima non è qui. Questa terra non è per me.
Diventa difficile vivere in questo modo.

La società in cui viviamo non è la terra. La famiglia di oggi non funziona, non accoglie, non si relaziona.

La dinamica di nascita

Non si può parlare di una buona o una cattiva nascita: c’è la Nascita, quella che abbiamo vissuto con la mamma.
Sappiamo che questa dinamica è molto corporea: lo spirito in quel momento è veramente incarnato nel corpo, abita lì. E per sentirlo ha bisogno di contatto, di toccare, di essere visto, di stare in questa casa, in questo mondo, di essere riconosciuto in storie magari difficili e sperimentare cose nuove.
Abbiamo bisogno di aiuto, perché quando arriviamo, dimentichiamo chi siamo e sfortunatamente entriamo in un mondo dove l’ego ha preso tutto lo spazio.
Gli imprinting ci portano a coltivare l’ego, perché il campo che troviamo ci toglie dalla natura, lo spirito si offusca e trionfa l’egoismo.

Quando lavoriamo coi nostri temi di nascita, l’energia delle nostre impronte è molto forte. Le incontriamo nello spazio di risorsa che sosteniamo. L’importante è non restare troppo in queste energie negative, per non nutrirle. La sofferenza è talmente sopraffacente che si ripete, si nutre da sola.
Le impronte sono come calamite che ci attraggono in quella forza con cui per lungo tempo ci siamo identificati, sono molto presenti.

L’energia forte della dinamica di nascita va a toccare le nostre storie. È un bene contattarle, per poterle trasformare, portare consapevolezza in noi, nell’attenzione di non lasciarcene sommergere nuovamente.

Nella dinamica di nascita, possiamo anche ricevere l’imprinting del percepirci senza nessun potere, di una frammentazione fra il nostro Sé e la nostra capacità di essere proattivi.
Si tratta di ritrovare il nostro potere, di ritrovare il piacere e lo spazio dell’Essere nel corpo. E certamente è ancora possibile, non si è perduto nulla, ci si è solo separati dalla natura.
In questa ottica vediamo la nascita come una grande transizione, che si trasformerà nel “modo di essere nella vita”. Perciò ciascun aspetto che partecipa all’atto della venuta al mondo mantiene anche in seguito un grande ruolo nella relazione con il potenziale creativo di quella vita, che fa diventare esseri con delle grandi abilità di fare, di dare, di ricevere, di essere…

Si tratta di un risveglio in questa terra, molto potente: è la vita con il 100 % di energia, liberata in una sorta di danza corporea, e lo spirito se ne rallegra, perché in tutto il suo dinamismo si ritrova nel corpo.

Quello che la nascita permette è: qui posso fare cose, attivamente. Prima, nel ventre, sono, creo il mio corpo, ma quando esco, creo la vita, fuori da me. Ho con me le forze creative, posso fare tutto, dipingere, creare musica, posso creare un mondo, divento attività nel mondo.

Prendiamoci un attimo ora, in questo momento, per incontrare il bambino che c’è in noi. E incontriamolo con amore e rispetto per tutto quello che lui ha fatto e vissuto: le sue sofferenze, i suoi giochi, il modo in cui ha attaccato il suo cuore a ciò che ama, a volte anche i luoghi che lui ama, un villaggio, un campo, una montagna, una chiesa, una strada che sale.
Prendiamoci lo spazio di dargli la mano e portarlo con noi nel nostro cuore di adulti. Avvicinandoci e restando insieme.
Ritrovandoci.

* Il testo è liberamente tratto dai seminari di Dominique Degranges